Percy Bisshe Shelley nasce nel Sussex nel 1792. Studente in college prestigiosi, fra cui Oxford, ne viene ben presto espulso per i suoi atteggiamenti anticonformistici, ispirati ad un “precoce” razionalismo anarchico ed insofferente. Separatosi assai giovane dalla moglie, e per non dire immediatamente, peregrina prima in Francia quindi in Svizzera convivendo con Mary, la figlia del filosofo William Godwin (1756-1836), pensatore alquanto celebre ai tempi. In Svizzera, Shelley approfondisce le relazioni con George Gordon Byron, condividendone molte idee e gli incessanti afflati rivoluzionari. Rimasto vedovo, sposa Mary (fra l’altro autrice del gotico “Frankenstein”, 1818) e con lei risiede a Venezia, Roma, Pisa, dove nuovamente lo raggiunge Byron. Sono anni letterariamente fertili, a “difesa della poesia”, meditando sulla morte di John Keats, infine abitando la luminosa Villa Magni a San Terenzo, fra Lerici e Spezia, luogo di castelli arroccati e di palazzi gentilizi. Nel luglio del 1822, navigando a vela sul suo Ariel di ritorno da Livorno, còlto da tempesta, affonda e tragicamente muore annegato nel golfo, appena trentenne. Il corpo, restituito dalle onde, dopo vari giorni viene cremato sulla spiaggia di Viareggio, i resti inumati nel cimitero inglese protestante a Roma.
Anima inquieta, pensatore d’ispirazione neoplatonica e a tratti scientista, ci lascia una produzione energica e pur tuttavia incostante. Assetato d’assoluto, Shelley sovrabbonda in misticismi che per gran parte appartengono a tutta la scuola e la tecnica romantica, organicamente ad una visione del mondo in cui l’amore per la libertà e per la creazione fantastica si fonde ad una tensione verso la bellezza e l’eguaglianza intese come destini e traguardi dell’umanità e del singolo. Nelle sue pagine, tuttavia, la natura (acque, monti, e lassù cieli, sole, costellazioni, nubi…), descritta con apparente spontaneità, talora appare in verità come “topos”, come simbolo quasi artificiale, come scorciatoia opportunistica per rappresentare il dato dell’interiorità e dell’emozione.
George Gordon Byron nasce a Londra nel 1788, da antico casato. Afflitto da una lieve deformità ad un piede, abbiente sino alla ricchezza, malinconico per natura, dopo gli studi a Cambridge avvia le prime raccolte di composizioni mordaci. Ben presto, lo “spleen” lo costringe a lunghi viaggi alla ricerca di se stesso: Portogallo, Spagna, Albania, Grecia, Oriente… Sono esperienze che confluiranno nella sua opera più notevole, “Childe Harold’s Pilgrimage”, il pellegrinaggio del giovane Aroldo, lavoro di una vita. Sposatosi nel 1815, nel 1816 è già separato, con grande scandalo a causa dei sospetti circa una sua relazione incestuosa con la sorellastra e addirittura circa i suoi rapporti omosessuali. Si rifugia in Svizzera (dove avrà una figlia – che morirà piccina - , di nome Allegra, dalla sorellastra di Mary Shelley), poi a Milano poi a Venezia poi a Ravenna… Sono nondimeno stagioni culturalmente feconde, sino a quando i contatti con la carboneria lo coinvolgono in attività insurrezionali, donde l’ennesimo spostamento prima a Pisa poi a Genova. L’amore per l’indipendenza dei popoli lo conduce infine a partire, per sposare anche la causa dei Greci contro i Turchi, ma nel 1824 muore – senza aver sostanzialmente “militato” – presso le paludi di Missolungi, còlto da febbri o forse da meningite fulminante. Cuore dolente e vulcanico, penna ora tenera ora satirica sino al burlesco, nella poesia (e nel bell’epistolario) ci ha lasciato tutto il suo impeto nomade, tutto il suo titanismo struggente e a tratti solenne. A chi voglia saperne di più, si suggerisce la lettura del meraviglioso volume di F. Prokosch, “Il manoscritto di Missolungi”, edito dalla milanese Adelphi nel 1989. (rivierawelcome.it....grazie)
Anima inquieta, pensatore d’ispirazione neoplatonica e a tratti scientista, ci lascia una produzione energica e pur tuttavia incostante. Assetato d’assoluto, Shelley sovrabbonda in misticismi che per gran parte appartengono a tutta la scuola e la tecnica romantica, organicamente ad una visione del mondo in cui l’amore per la libertà e per la creazione fantastica si fonde ad una tensione verso la bellezza e l’eguaglianza intese come destini e traguardi dell’umanità e del singolo. Nelle sue pagine, tuttavia, la natura (acque, monti, e lassù cieli, sole, costellazioni, nubi…), descritta con apparente spontaneità, talora appare in verità come “topos”, come simbolo quasi artificiale, come scorciatoia opportunistica per rappresentare il dato dell’interiorità e dell’emozione.
George Gordon Byron nasce a Londra nel 1788, da antico casato. Afflitto da una lieve deformità ad un piede, abbiente sino alla ricchezza, malinconico per natura, dopo gli studi a Cambridge avvia le prime raccolte di composizioni mordaci. Ben presto, lo “spleen” lo costringe a lunghi viaggi alla ricerca di se stesso: Portogallo, Spagna, Albania, Grecia, Oriente… Sono esperienze che confluiranno nella sua opera più notevole, “Childe Harold’s Pilgrimage”, il pellegrinaggio del giovane Aroldo, lavoro di una vita. Sposatosi nel 1815, nel 1816 è già separato, con grande scandalo a causa dei sospetti circa una sua relazione incestuosa con la sorellastra e addirittura circa i suoi rapporti omosessuali. Si rifugia in Svizzera (dove avrà una figlia – che morirà piccina - , di nome Allegra, dalla sorellastra di Mary Shelley), poi a Milano poi a Venezia poi a Ravenna… Sono nondimeno stagioni culturalmente feconde, sino a quando i contatti con la carboneria lo coinvolgono in attività insurrezionali, donde l’ennesimo spostamento prima a Pisa poi a Genova. L’amore per l’indipendenza dei popoli lo conduce infine a partire, per sposare anche la causa dei Greci contro i Turchi, ma nel 1824 muore – senza aver sostanzialmente “militato” – presso le paludi di Missolungi, còlto da febbri o forse da meningite fulminante. Cuore dolente e vulcanico, penna ora tenera ora satirica sino al burlesco, nella poesia (e nel bell’epistolario) ci ha lasciato tutto il suo impeto nomade, tutto il suo titanismo struggente e a tratti solenne. A chi voglia saperne di più, si suggerisce la lettura del meraviglioso volume di F. Prokosch, “Il manoscritto di Missolungi”, edito dalla milanese Adelphi nel 1989. (rivierawelcome.it....grazie)
Nessun commento:
Posta un commento